“Voi, con la vostra pazienza possederete le vostre anime”


“Bisogna portare PAZIENZA!”. Questo è un must senza tempo, che va sempre bene, in ogni occasione, come il nero. 
Solitamente, è un’esortazione che riceviamo o elargiamo quando le cose non vanno troppo bene, quando stiamo attraversando momenti di difficoltà. 

E se poi ci riferiamo all’etimologia della parola, Pazienza deriva dal latino pati che rimanda alla capacità di “sopportare, tollerare la sofferenza rinviando o rinunciando completamente a reagire”. Una virtù decisamente poco interessante da conquistare e senza dubbio fuori moda, se si pensa all’imperativo del godimento che regna nello spazio-tempo in cui viviamo.  

In effetti, la pazienza, nell’immaginario dei più, richiama un’idea di rassegnazione, sopportazione, resa di fronte a questioni che non ci piacciono ed a situazioni che riteniamo di non poter cambiare: “Porta pazienza, è immaturo/a, crescerà, capirà”, “Devo portare pazienza, non posso cambiare…(lavoro, paese, marito/moglie, ecc.)”. 
Talvolta, colui o colei che adotta, più o meno consapevolmente, questo spirito di sacrificio indossando la veste del martire, finisce per cadere in meccanismi manipolatori finalizzati a tenere l’altro in scacco all’interno della relazione (“Come osi!! Con tutto quello che ho patito per te!”). Per non parlare poi dello stato emotivo negativo che crea questa condizione di passività e sottomissione, connotato per lo più da rabbia, frustrazione, sofferenza, chiusura.
Evidentemente, allora, la pazienza non è sempre una buona qualità in sé o, per lo meno, non lo è quando assume una forma malata e deleteria. Non tutti quelli che patiscono sono persone pazienti così come, non tutte le persone che non reagiscono esercitano la calma.
La pazienza di una madre che attende la nascita di un figlio non è equivalente alla pazienza di una donna che accetta una relazione violenta. 
La pazienza di un genitore di fronte ad una crisi del figlio adolescente non è la pazienza di un dipendente costantemente criticato e poco valorizzato dal datore di lavoro. 
E se non si è consapevoli di queste differenze sostanziali nel praticare la virtù della pazienza, si rischia di ammantare di buoni propositi comportamenti controproducenti, che danneggiano se stessi e le relazioni che viviamo. Tollerare al di fuori con un apparente moderazione ed accettazione ed ardere di odio al di dentro ha poco a che fare con la preziosa qualità che è la pazienza.

Pensiamo alla pazienza seria, appassionata, focalizzata che incontra il bambino per completare una pila di cubetti o quella che gli serve, una volta cresciuto, per concludere la sua collezione di figurine. 
Oppure alla pazienza che richiede il superamento di un percorso universitario, una terapia, un processo di guarigione così come la lenta e delicata elaborazione di un lutto. 
Pazientare non è sempre facile, a volte è doloroso e fonte di sofferenza. Ma è quel male che fa bene, è quel dolore che genera qualche cosa di buono e migliore, che ci fa evolvere, andare avanti. E’ una pazienza che “sa di buono”, che ci fa intravedere all’orizzonte una nuova alba, per sé o per chi amiamo. E’, per dirla con le parole di Bachelard, come la fiamma che brucia sotto la cenere.


Che cosa ci può aiutare a discernere tra queste varie forme in cui si declina la Pazienza? Che cosa ci guida nella strada giusta? Ci sono degli aspetti che caratterizzano questa virtù.

  • La pazienza buona ha a che fare con la fiducia-fede che, come scrive Bianchi, è l’atto di affidarsi, come un bambino alla madre, ad un terreno sicuro sebbene non conosciuto. Quando esercitiamo la nostra pazienza ci troviamo sempre nella condizione di investire nell’ignoto. Speriamo sempre ciò che non vediamo. 

“Bisogna che voi lasciate partorire dentro di voi ogni impressione, ogni germe di sentimento, nell'oscuro, nell'inesprimibile, nell'incosciente, in queste regioni chiuse alla comprensione.
Aspettate con umiltà e con pazienza l’ora della nascita di un nuovo chiarore” (Rilke)


  • La pazienza buona implica chiarezza e forza dei desideri; non di desideri materiali o di possesso degli altri, ma di motivazioni buone che ci consentono di andare oltre la fatica e lo scoraggiamento e che ci guidano con determinazione alla loro realizzazione.  Una pazienza sana implica l’atto di credere in se stessi e negli altri ed ha a che fare con la condivisione, con l’amore, con il rispetto.

  • La pazienza vera è amica della sapienza intesa nel suo significato etimologico come capacità di “sentir sapore”, di gustare la verità dell’anima con saggezza e fine gusto, non quella della mente. 
Siamo sulla buona strada quando sostiamo nella pazienza, guidati da un sentimento profondo delle cose, dalla certezza che ciò che sentiamo è verità dentro di noi. Siamo sulla buona strada quando l’attesa è leggera e non uno sforzo pesante. 


Bisogna, alle cose,
lasciare la propria quieta, indisturbata evoluzione
che viene dal loro interno
e che da niente può essere forzata o accelerata.
Tutto è: portare a compimento la gestazione – e poi dare alla luce …
Maturare come un albero
che non forza i suoi succhi
e tranquillo se ne sta nelle tempeste
di primavera, e non teme che non possa arrivare l’estate.
Eccome se arriva!
Ma arriva soltanto per chi è paziente
e vive come se davanti avesse l’eternità,
spensierato, tranquillo e aperto …
Bisogna avere pazienza
verso le irresolutezze del cuore
e cercare di amare le domande stesse
come stanze chiuse a chiave e come libri
che sono scritti in una lingua che proprio non sappiamo.
Si tratta di vivere ogni cosa.
Quando si vivono le domande,
forse, piano piano, si finisce,
senza accorgersene,
col vivere dentro alle risposte
celate in un giorno che non sappiamo.

(Rainer Maria Rilke, 1903)