IL CONTRIBUTO DI OTTO KERNBERG SUL NARCISISMO

Grande psicoanalista contemporaneo, noto per il suo contributo teorico e clinico alla psicoanalisi ed in particolare allo studio del disturbo narcisistico di personalità e dell’organizzazione borderline.
Uno dei temi, su cui il contributo di Kernberg è stato determinante, è il concetto di “Narcisismo”.
E’ un termine quanto mai attuale e spesso utilizzato, con relativa facilità, in contesti diversi. E come spesso accade per le parole che vengono impiegate per indicare concetti differenti, esse finiscono per perdere forza e precisione.
Nel linguaggio quotidiano, si definisce narcisista la persona particolarmente concentrata su di sé (aspetto fisico e non solo), egocentrica e/o egoista, vanitosa. 
Un significato che rimanda originariamente alla figura mitologica di Narciso, giovane di straordinaria bellezza che disdegna ogni persona che lo ama e che soccomberà proprio per la sua impossibilità di appropriarsi della sua stessa bellezza, riflessa nell’acqua.
Esiste tuttavia un’altra accezione, più tecnica, che intende il “narcisismo” come disturbo che talvolta sfocia nella patologia. 
Il lavoro di Kernberg si fonda sull’idea che le esperienze affettive con le figure di riferimento primarie (genitori e non solo) determinino le “strutture psichiche” (configurazioni stabili di processi mentali) che influiscono sull’eventuale sviluppo psicopatologico della personalità. 
In altre parole le “cornici disfunzionali” che strutturiamo nella nostra vita causano i fenomeni psicopatologici ed i sintomi stessi.  Kernberg distingue 3 tipi di Narcisismo:

 1. Sano: proprio di ciascuno di noi e garantisce una certa dose di ambizione, la ricerca di relazioni e la coerenza con il proprio sistema di valori.

 2. Infantile: per sua natura insaziabile, richiedente, centrato sulla propria soddisfazione personale e sulla percezione dell’altro come strumento di gratificazione.

 3. Patologico: proprio di una personalità disturbata, il cui Io non integrato risulta incapace di integrare aspetti buoni e cattivi del Sé e dell’altro, con la conseguente strutturazione di un Sé grandioso.

Il fallimento della funzione empatica, un atteggiamento freddo, fortemente esigente e nel contempo esageratamente ammirevole sembra, secondo la teoria di Kernberg, favorire lo sviluppo di questo Sé grandioso patologico. 
Naturalmente, convivere con questa idea irrealistica e idealizzata di sé, comporta un notevole sforzo nella misura in cui richiede continue conferme e rinforzi esterni per essere mantenuta. 
La persona narcisista incorre costantemente nel pericolo di vedere intaccata questa immagine artificiosa di sé, di sentire vacillare la sua fragile autostima, responsabile del grande senso di inferiorità che vive.
Per fronteggiare questo pericolo mette in atto continui attacchi e svalutazioni nei confronti dell’altro che non sono altro che proiezioni di quegli aspetti che rifiuta di sé. Il narcisista si muove tra queste due dimensioni ugualmente distruttive per sé e per la relazione con l’altro: ha un disperato bisogno di relazioni quali fonti di riconoscimento e rifornimento narcisistico e nel contempo la sua aggressività intrinseca lo porta ad attaccare e distruggere le relazioni stesse, oltre che se stesso.
L’impoverimento ed il vuoto interiore che percepisce lo inducono a ricercare ulteriormente ammirazione e conferme ed il circolo vizioso continua incessantemente ad alimentarsi. L’altro è necessario e nello stesso tempo rifiutato; il tutto per alimentare la sua precaria autostima. 
E’ interessante tenere presente che accanto al tipico quadro di persona narcisistica che prevede comportamenti arroganti, egocentrici, anaffettivi vi è una seconda tipologia detta “ipervigile” (Gabbard) caratterizzata dai sentimenti di depressione, forte sensibilità alle reazioni degli altri nei loro confronti; timidezza e inibizione, paura dell'umiliazione e del rifiuto. 
Tre sono quindi le principali dimensioni patologiche che definiscono questo disturbo: una visione grandiosa ed irrealistica di sé; la necessità di continue rassicurazioni e conferme ed infine la mancanza di empatia nei confronti degli altri. 

Possiamo riconoscerci in alcuni tratti di personalità narcisistica tuttavia, si entra nel campo della patologia e del disturbo di personalità soltanto quando si rintraccia una inflessibilità e persistenza tali da causare una forte sofferenza soggettiva  ed interferire con il normale funzionamento della persona.
Il fine della terapia, dunque, è quello di favorire la ristrutturazione globale della personalità del paziente che vive il disagio in un clima di alleanza e di fiducia con il terapeuta. L’obiettivo, tra gli altri,  è volto a consentire un passaggio da una visione dicotomica (positiva o negativa) di sé e degli altri ad una rappresentazione più flessibile e realistica dove possano essere integrati tutti gli aspetti che ne fanno parte.