POSSO ANCHE DIRE “NO”…senza sentirmi in colpa.

Dire “No”, “Non so”, “Non capisco, “Non mi interessa” è considerato dalla maggior parte di noi sbagliato, scorretto, scortese, un’azione egoistica. 
Accade quotidianamente che ci troviamo in situazioni private e/o sociali in cui ci viene richiesto di fare delle cose che non desideriamo: fermarsi oltre l’orario di lavoro, svolgere delle commissioni per conto di altri, esaudire ogni richiesta dei figli, sorbirsi una telefonata infinita del collega in crisi con la moglie, ecc.
In tutte queste situazioni, e in molte altre, ci ritroviamo ad impiegare il nostro tempo, la nostra energia, i nostri spazi per assecondare le richieste di altri, ci scopriamo incapaci di dire “NO”. Perché non ci riusciamo? Perché non abbiamo lasciato il posto di lavoro nel tempo che avevamo stabilito? Perché non riusciamo a rifiutare l’ennesima richiesta se questo comporta un ulteriore ritardo per noi? Perché non riusciamo a salutare il collega quando sentiamo che il nostro tempo a disposizione è terminato?
Alla base di questa fatica a dire no, quando non vorremmo che fosse un sì, vi è la paura di sentirsi in COLPA, la paura di deludere l’altro, la paura che dal nostro no scaturisca un conflitto, la paura di ferire i suoi sentimenti e, non da ultimo, il bisogno si sentirsi bravi, accettati, buoni, gentili, generosi, ecc.
Se analizziamo le nostre relazioni molto probabilmente scopriremo che, chi più chi meno, oppure, con qualcuno di più e con qualcun altro di meno, siamo spesso imbrigliati in queste dinamiche che ci condizionano e che ci fanno vivere male, oltre che rovinare le relazioni stesse.
Da dove deriva questa difficoltà? Facciamo un salto indietro nel tempo e recuperiamo quei ricordi in cui ci veniva detto o fatto intendere quanto saremo stati “amati” (e con questo intendo approvati, apprezzati, benvoluti, ecc.) se ci fossimo “comportati bene”. 
Comportarsi bene, quando eravamo bambini ma direi anche ora da adulti, significa obbedire, essere remissivi, allinearci alle richieste ed ai desideri dei genitori prima e degli altri poi. Un bimbo sa perfettamente che cosa vuole (es. non andare alla lezione di pianoforte e starsene a casa a riposarsi) ma molto spesso viene dissuaso dal dare ascolto ai suoi desideri per aderire ai canoni imposti da altri relativamente a ciò che è “giusto” fare (“Alla lezione ci vai perché c’è il saggio tra una settimana!”). E poi ci stupiamo del fatto che noi grandi non siamo più capaci di dire di no; quei bambini eravamo noi!
Restare intrappolati in questi meccanismi comporta l’incapacità di manifestare i propri bisogni, i propri desideri. Alla lunga finiamo per allontanarci da ciò che sentiamo e vivere costantemente in funzione ci ciò che pensiamo desideri o si aspetti l’altro. Significa mettere a tacere la nostra vita psichica ed emotiva e vivere la vita di qualcun’ altro o… tutti gli altri.
La nostra identità, l’immagine che abbiamo di noi stessi, il senso della nostra autostima vengono alimentati dalla capacità di fare scelte libere, autonome, coraggiose, coltivando i propri interessi e desideri. 
Ignorare i propri sentimenti perché ci si sente costretti a manifestare benevolenza, disponibilità, cortesia, anche quando l’atteggiamento interiore è contrario, fa crescere un senso di frustrazione e di ostilità (a volte sorda, poco consapevole ma che agisce comunque) che inevitabilmente danneggerà noi stessi. Ed allora iniziamo ad adottare quegli atteggiamenti che crediamo siamo sinonimo di bontà d’animo, affabilità: “Fai tu, decidi tu, per be va bene tutto”, “Mah, non saprei”, “Per me fa lo stesso”. 
Ottimo!! Soffochiamo la nostra identità, mettiamo a tacere i nostri pensieri e desideri per apparire obbedienti e disponibili e poi ci stupiamo se gli altri non fanno ciò che vogliamo! E poi inorridiamo quando gli altri (ovviamente ignari di tutto) non considerano importanti i nostri bisogni. L’abbiamo fatto noi per primi!!
Continuando ad accettare e a dire di sì a tutto non trasmettiamo agli altri l’idea che la nostra vita, il nostro tempo, i nostri impegni, i nostri bisogni abbiamo un valore; se non è chiaro a noi quanto valiamo non sarà certo chiaro agli altri.
Pensiamo anche che dire no sia un atto di EGOISMO. L’egoismo, in quanto “caratteristica tipica di chi promuove comportamenti finalizzati esclusivamente, o quasi, all' interesse personale,  danneggiando a volte l'interesse altrui”, direi che è altra cosa dall’imparare a rispettare se stessi, dall’imparare a sintonizzarci con ciò che vogliamo senza per questo calpestare gli altri.
Nel nostro immaginario è come se non esistesse un’alternativa, una via di mezzo, un equilibrio possibile tra i nostri e gli altrui bisogni. O accettiamo qualsiasi cosa e siamo “buoni” (ma avvelenati dentro!) oppure diciamo no e siamo “cattivi” (e per questo punibili). “Ama il prossimo tuo COME te stesso” non significa più di te stesso e neppure di meno; ama il prossimo e ama anche te stesso. Posso rifiutare una richiesta senza il timore di venire meno al bene che nutro nei tuoi confronti e senza calpestare il bene che voglio a me stesso.
Imparare a dire NO equivale a scegliere di stabilire con chiarezza le dimensioni del nostro “territorio”, che rappresenta il nostro campo d’azione, all’interno del quale siamo liberi. Significa porre dei limiti chiari che ci permettono di farci sentire bene ed al sicuro e che garantiscono buoni rapporti: “Fino a qua e non oltre”.  Dire sempre SI viceversa equivale a restringere sempre più questo spazio fino a soffocarci.
Come faccio a capire qual è il mio limite? Come posso sapere se quel sì è un sì oppure un no taciuto? In realtà è molto semplice. E’ sufficiente imparare a prestare attenzione al proprio mondo interiore, a quanto ciò che proviamo, sentiamo, desideriamo, vogliamo è COERENTE, allineato con i nostri comportamenti esterni. Solo se preseguiamo questo equilibrio ci sentiamo in pace con gli altri e con noi stessi in egual misura. In caso contrario finiamo per condurre due esistenze separate: sul piano del comportamento esterno saremo le persone più disponibili della terra e dentro di noi abiterà rabbia, delusione, frustrazione. E noi non vogliamo questo, vero?