LA MENTE: compagna di viaggio o tiranna implacabile?


E’ antico il tentativo di studiare e definire in modo dettagliato il concetto di Mente e da sempre l’uomo si imbatte nella straordinaria complessità e mobilità di questo “organo”. 
Etimologicamente significa pensare, conoscere, intendere ma anche misurare, creare, formare. 
Il concetto interessa anche l’animo, tanto che può essere considerata la facoltà più eccellente dell’anima con la quale l’uomo concepisce (“Partorire un’idea”), pensa, conosce.
Vi sono posizioni differenti e talvolta contrastanti. Per alcuni la mente è la sede delle più alte funzioni intellettive (ragione, intuizione, memoria, ecc.) mentre la sfera delle emozioni (amore, odio, paura, gioia, ecc.), più “primitiva, istintuale e talvolta inconscia, apparterrebbe al territorio della psiche. 
Si usa la parola mente per indicare l’insieme delle facoltà umane che interessano il pensiero, l’intelletto, l’attenzione, la memoria (“Mi resta in mente”), la percezione. 
Si usa questo termine per indicare un’attitudine, una disposizione (“Mente calcolatrice”, “Mente quadrata”, “Mente aperta”, “Avere una bella mente”. ecc.) Oppure un’intenzione, la volontà (“Avere in mente di fare qualcosa”)
Talvolta il termine mente diventa sinonimo delle funzioni e dell’attività psichica, della coscienza di sé(“Togliersi dalla mente un’idea”, “ Malattia mentale”).
La mente inconscia riguarda tutte quelle funzioni e contenuti (pensieri, istinti, rappresentazioni, comportamenti, ecc.) che non sono accessibili alla coscienza e di cui la persona non è consapevole.
Si tende spesso a contrapporre la mente alcorpo e/o alcuore, inteso come sede degli affetti. (“Il cuore ha ragioni che la ragione non conosce”). 
Altri invece sostengono che l'aspetto razionale di una persona non possa essere distinto da quello emotivo, entrambi considerati come appartenenti alla mente dell'individuo.
Comunque la si voglia intendere, la mente rappresenta un meraviglioso mistero, un territorio da esplorare, ricco di potenzialità e di risorse, il nostro più potente strumento per accrescere  la nostra conoscenza, le nostre competenze, la consapevolezza di chi siamo e di che cosa vogliamo ottenere in questa vita. Ma, se la mente è questo capolavoro dalle sconfinate potenzialità, talvolta essa può diventare il nostro più grande ostacolo, un nido aggrovigliato di pensieri, paure, giudizi e valutazioni che altro non sono che catene che ci bloccano e che ci fanno vivere male. 

Come accade questo? Si tratta di un processo che ha inizio con la nostra vita e con le nostre prime esperienze. La mente (attraverso i sensi) registra, codifica, organizza tutte le esperienze a cui andiamo incontro, al punto da elaborare e definire la nostra personalità, chi siamo e come interagiamo con il mondo. Qualsiasi fatto ci accada innesca un flusso spontaneo ed automatico di pensieri che si concatenano l’uno all’altro quasi fosse la trama di un film. A volte ne siamo consapevoli, possiamo osservarli, comprenderli ed anche scegliere di allontanarli. Altre volte no, soprattutto quando indugiamo nei soliti, consueti “circuiti” che diventano delle “corsie preferenziali” che si attivano automaticamente. Allora ne restiamo intrappolati ed abbiamo l’impressione che essi governino la nostra esistenza. Sono quelle situazioni in cui ci sembra di non avere alternative, possibilità di soluzione, in cui ci sentiamo dentro ad un vortice che ci risucchia (“Non potrò mai cambiare questo lavoro che non mi piace”, “Non c’è alcuna possibilità che io possa superare questa perdita”, “Il rapporto con….andrà sempre peggio”, ecc.). 
Generalmente sono proprio gli eventi negativi (o per lo meno quelli che viviamo come tali), quelli che non accettiamo e comprendiamo, che si fissano nella mente come schemi disfunzionali, false credenze, paure, percezioni distorte e finiscono per guidare il nostro comportamento ed alimentare altri pensieri analoghi. Facciamo un esempio: se da piccola sono stata circondata da figure educative che mi hanno fatto sentire stupida è molto probabile che io sviluppi la convinzione di esserlo ed ancora più probabile che finisca per comportarmi come se lo fossi. La cosa preoccupante è che mi muoverò nel mondo ricercando tutte quelle situazioni che lo confermeranno e, qualora  mi imbattessi in successi e gratificazioni (la vita è molto più giusta e generosa di quanto non siamo disposti ad ammettere), finirò per “leggere” questi successi come fatti immeritati o fortuiti. 
Ecco! La mente ama dare ragione a se stessa e soprattutto, molto spesso, la mente mente!!

Come una potente lente, giunge a deformare la realtà, la percezione di noi e di ciò che abbiamo, di ciò che viviamo, di ciò che fanno gli altri. E lo fa con grande precisione e complessità, finendo per farci credere che ciò che è semplicemente un nostra percezione soggettiva (“Mentre mi parlava, il capo aveva uno sguardo serio”) diventi invece la pura verità (“E’ arrabbiato con me, mi vuole licenziare”). In altre parole quel significato che attribuiamo, quel fatto che ci scatena una così forte paura, per noi esiste veramente!  
Quando parlo di deformazione della realtà non mi riferisco ai fenomeni deliranti tipici di gravi quadri psicopatologici della sfera psicotica. Parlo piuttosto di “storie di ordinaria sofferenza” causate da meccanismi reattivi, automatici ed inconsci che sono alla base di quelle credenze/illusioni/convinzioni disfunzionali che ci sabotano e causano gran parte del nostro malessere. “Non mi ha risposto perché ce l’ha con me”, “Mi tradirà anche lui”, “Perderò il lavoro anche stavolta”, “Non mi libererò mai da questo dolore”, “Tutte le persone che incontro mi sfruttano”, ecc.
Più perseveriamo in questi processi di pensiero (che per ciascuno possono essere differenti ed attinenti a temi specifici: essere incapaci, paura dell’abbandono, timore di perdere il controllo, bisogno di controllo, ansia per il futuro, ecc.) più li riteniamo veri ed assoluti e di fronte a queste verità ci sentiamo intrappolati e privi di qualsiasi libertà di scelta. 
Nella mia pratica clinica osservo spesso quanto la sofferenza e il disagio siano proprio causati da questa (falsa) convinzione di non avere alternative, neppure piccole possibilità di scegliere di dare una interpretazione differente a quel singolo fatto. E’ ovvio che se interpreto (sempre) un saluto mancato come un atto intenzionale di scortesia nei miei confronti finirò per starci male e per rovinare i rapporti con gli altri. Mi muoverò nel mondo mettendo in atto comportamenti indotti da questa mente sabotante; quindi farò di tutto per dimostrare che valgo oppure mi chiuderò in me stesso, oppure accetterò situazioni dannose per il mio benessere e così via. 
C’è una bella immagine che ha utilizzato David J. Schwartz per definire la mente: “La tua mente è come la terra di un orto. Alla terra non importa quali semi pianterai, patate o meloni, erbacce o cavoli. La terra (la mente) nutre ciò che pianti. Pianta semi di prosperità e raccoglierai prosperità; pianta semi di povertà e raccoglierai povertà”. Potremmo aggiungere che piantare paura ci farà vivere in un mondo spaventoso, avverso, pericoloso; piantare chiusura e sospetto ci farà vivere nella solitudine, nel timore, nella sfiducia; piantare ansia ci impedirà di vivere il momento presente ma solo proiettati nei risvolti più temuti delle nostre esperienze.
Spinoza diceva: “Vidi che tutte le cose che temevo non avevano nulla in se stesse di male o di bene se non nella misura in cui la mente ne era influenzata”.
Il grandissimo Shakspeare scriveva: “Non c’è nulla di bene o di male; è il pensiero a renderli tali”. 
Gesù predicava: “Come penserai, così sarai”. 
Che fare allora? Come fare per alimentare la nostra “mente amica”, la nostra mente creativa, i  nostri processi mentali più evoluti, quelli che ci aiutano a porci obiettivi alti, ad evolvere nel processo di crescita per diventare ogni giorno più attenti, consapevoli, liberi? 
Smettere di resistere, anche ai pensieri che ci piacciono meno, di opporci è il primo passo per scegliere la via dell’accettazione alla via del rifiuto. Posso cambiare solamente ciò che riconosco essere in me, non certo ciò che nego. Se scelgo di nascondere una difficoltà comportandomi in modo da mascherarla difficilmente la potrò risolvere o superare. 
Accettare (che non significa rinunciare, soccombere, approvare) è una spinta attiva che mi pone a contatto con quegli aspetti che di me o dell’altro o di una situazione non mi piaciono; li riconosco, li nomino, li comunico, li comprendo e (solo alla fine di questo processo) finalmente li lascio andare. Smetto di esserne governato in modo automatico perché li osservo con sufficiente distanza. 
Questa è la condizione prima da cui si avvia un processo fluido di crescita ed apertura verso tutto ciò che può essere in me e nelle relazioni. Finalmente mi apro a nuove possibili interpretazioni, a nuove opportunità, alla possibilità di collaborare con me stesso/a e con gli altri anziché combattere. Divento consapevole di ciò che è, senza restare fissato al passato o pre-occuparmi del futuro, e lascio che tutto accada come deve accadere.
Questo atteggiamento di profondo rispetto verso noi stessi, verso gli altri e verso la vita è via per dissolvere l’effetto condizionante di esperienze passate e dolorose, per sciogliere modi di essere cristallizzati e poco efficaci, per risanare pre-giudizi e valutazioni distruttivi. 
Che cosa cambia? Cambia l’impulso a fingere, a difenderci, ad attaccare, a mascherare le nostre paure o difetti con comportamenti inefficaci. A questa spinta si sostituisce un pensiero più sereno ed un atteggiamento più aperto, capace di affrontare le proprie aree di debolezza e di apprezzare i propri  punti di forza. Si fa strada un comportamento più dinamico e meno rigido, intransigente; un approccio più fluido alle cose ed agli eventi che accoglie tanto i momenti buoni quanto i momenti bui, con la stessa presenza e con lo stesso sano distacco (senza attaccamento). Si fa strada il grandissimo privilegio e diritto di diventare chi siamo veramente, di allinearci con i nostri valori, con i nostri desideri, con chi vogliamo diventare. 
L’espressione libera, autentica, rispettosa e consapevole di noi stessi è il più alto valore a cui possiamo aspirare. 
Posso cominciare questo entusiasmante viaggio chiedendomi: “Chi sono? Chi voglio essere? Il modo in cui vivo, le mie parole, i miei pensieri, i miei comportamenti sono  in armonia con chi voglio essere?”
Buona ricerca!