lACRIME DI LINFA


Qualche tempo fa leggevo un post scritto da Vivaio La Campanella (un angolo di paradiso per chi, come me, ama le rose).
Poche righe tanto semplici quanto intense che riporto con piacere: “Al risveglio della primavera la linfa riprende ad essere "pompata" dalle radici sui rami. Ciò provoca un evidente gocciolamento dai tagli fatti con la potatura. Questo fenomeno prende il nome di pianto. Ma più che di pianto direi che possiamo parlare di gioia per il risveglio vegetativo”.Tagli, potatura, pianto, linfa, gioia. Una parola dopo l’altra si inanellava nella mia mente; un gioco di associazioni che mi ha condotta ad una riflessione inaspettata riguardo la mia, e forse nostra, idea di “pianto”.


Associamo il pianto alla sofferenza, al dolore, alla malattia, al lutto. A tutto ciò che di più negativo può colpire la nostra vita. 

E, mai come in questo periodo storico, tutto invece spinge in una direzione opposta, verso la fuga ed il rifiuto del “negativo”.

La stessa grande area di certa psicologia e della crescita personale (in tutte le sue declinazioni)
punta al benessere, al “positivo”, talvolta negando o rifiutando di soffermarsi sulle inevitabili e necessarie “potature” che la vita ci riserva.

Culturalmente c’è un forte condizionamento che tende a scoraggiare il pianto come reazione
naturale dell’essere umano; piangere è ritenuto un comportamento sconveniente, fuori luogo, indice di debolezza e fragilità, specie se a farlo è un maschio.

Il pianto spaventa perché rappresenta la perdita del rigido controllo che spesso esercitiamo sullenostre emozioni, una sorta di diga che si rompe alla pressione di sentimenti divenuti incontenibili.In realtà dimentichiamo che, se le cose sono andate bene, il pianto è stato il primo nostro grido almondo, la prima forma di comunicazione di cui ci siamo serviti per contattare la vita al dì fuoridell’idilliaca pace intrauterina. E’ grazie a quel pianto che abbiamo iniziato a respirare e a farscorrere la “linfa” dentro di noi. Un po' come a dire che al pianto, prima ancora che alla vista,servono gli occhi.

Ancora, nella fase pre-verbale della nostra vita, il pianto ha rappresentato la nostra unica modalitàper garantirci la sopravvivenza e vedere ascoltati e soddisfatti i nostri bisogni primari come fame,sete, dolore e poi paura, bisogno di contatto, di essere rassicurati.

Tutto questo "scorre" dal bimbo alla madre attraverso il pianto e grazie ad esso.

E’ stato dimostrato scientificamente che il pianto del neonato attiva precise aree cerebrali dellamadre che sono associate specificatamente al movimento ed alla parola. Indipendentemente dalcontesto socio-culturale di provenienza, qualsiasi madre risponde istintivamente al pianto delbambino prendendolo in braccio e rassicurandolo con la voce. Questa plasticità cerebrale ai messaggi del piccolo unita all’istinto di accudimento soddisfa la funzione del pianto che è preservare la vita che scorre.
E questo vale anche più avanti, molto oltre il periodo dell'infanzia, quando ormai cresciuti, siamodotati di un bagaglio linguistico di tutto rispetto.

Eppure il pianto per sua natura rappresenta la resa delle parole ed è innegabile che le lacrime
veicolano emozioni e "parole liquide" che raggiungono livelli di autenticità e profondità che nessun discorso può eguagliare in fatto di eloquenza. "E' un posto così segreto la terra delle lacrime" scriveva Antoine de Saint-Exupéry.

Lacrimiamo quando tagliamo una cipolla o per un moto di gioia ma molto più spesso quando
soffriamo. Tuttavia, osservate al microscopio, non esiste una lacrima uguale ad un'altra e non tutte le lacrime sono uguali, non tutte hanno la stessa composizione chimica. Ad esempio, rispetto allelacrime basali che lubrificano costantemente l'occhio ed a quelle reattive (prodotte in presenza di agenti irritanti) che sono ricche di anticorpi, le lacrime "emotive" (ossia quelle che derivano da un affetto, da un'emozione spiacevole) mostrano una maggiore concentrazione di proteine e neurotrasmettitori (dopamina e serotonina) che hanno una funzione antidolorifica. La scienza dimostra che il "pianto emotivo" è la reazione indotta dal corpo finalizzata a ripristinare un equilibrio bio-chimico. Piangere riduce il livello di cortisolo (ormone dello stress) nel sangue, abbassa la pressione sanguigna, allenta la tensione fisica e psichica. In effetti, chiunque avrà provato la sensazione di sentirsi meglio e "liberato" dopo un bel pianto. Le lacrime puliscono, proteggono, liberano, purificano...e non solo da un punto di vista chimico!

La perfetta perla dell'ostrica è il prodotto di questo processo. Un corpo estraneo (frammento di conchiglia, granello di sabbia, ecc.) entra nell'ostrica provocando dolore ed irritazione e quest'ultima reagisce all'irritazione e al dolore rivestendo questo "intruso" di una sorta di lacrima, una sostanza cristallina che lo rende non solo inoffensivo ma addirittura meraviglioso.

La perla è dolore trasformato, integrato dentro di sè.

Ecco che cosa possiamo apprendere dall'ostrica: l'accoglienza, l'azione, la pazienza.

Non lottare contro ciò che arriva e ci disturba o ci provoca sofferenza, nessuna battaglia ma
accogliere ciò che arriva, fare spazio perchè, come diceva Camus, "nessuna lacrima deve andare persa".

Nessuno consapevolmente desidera soffrire e la sofferenza fine a se stessa non è edificante né utile. Le lacrime che diventano perle sono quelle che ci spingono verso uno scopo più alto e più inprofondità, a fare un lavoro su se stessi, verso una ricerca di senso che ci renda migliori di quanto non fossimo ieri. Quando siamo disponibili a stare in questo processo e a trasformare questa "ferita" allora facciamo esperienza di apertura, di chiarezza mentale, di gentilezza e condivisione, di profonda unione con l'altro.

Ed è proprio questa l'opportunità che ci offre il fastidioso "granello di sabbia" o le "potature" della vita poiché, purtroppo, molto spesso "l'uomo nel benessere non comprende".

"Il cielo sa che non dobbiamo mai vergognarci delle nostre lacrime, perché stanno piovendo sulla polvere accecante della terra, sovrastando i nostri cuori duri. Stavo meglio dopo aver pianto, meglio di prima – più dispiaciuto, più consapevole della mia stessa ingratitudine, più gentile". (Dickens)

Le lacrime che diventano perle non sono quelle che cadono nel vuoto ma quelle che trovano
accoglienza, comprensione, ascolto, sostegno, che trovano qualcuno che le raccolga. Il pianto quindi, tanto per i bambini come per gli adulti, resta sempre espressione di un cuore che parla, seppure di sofferenza, più autenticamente di qualsiasi parola.

Sebbene viviamo un tempo di "occhi secchi" per citare Bianchi, possiamo stare certi che il cuore non smette di parlare.

Ciò che conta è che non ci stanchiamo di dargli ascolto, che sia il nostro o quello di qualcun'altro.
Che il "pianto" non sia un atto sterile ma la semina di atti di consapevolezza.
Che non smettiamo di accogliere queste aperture, troppo preziose per essere ignorate
affinché, come per Freyja nella splendida opera di Zilberman, queste lacrime d'oro colorino
l'orizzonte coi colori più caldi.